Le applicazioni

Grafene in elettronica: mi piego ma non mi spezzo

La prima idea per utilizzare il grafene è stata, naturalmente, quella di sfruttare l’enorme mobilità delle sue cariche per realizzare transistor e microchip più veloci di quelli di silicio, oggi alla base di tutti i computer e telefoni cellulari. In effetti, i ricercatori sono riusciti a produrre singoli transistor o anche semplici circuiti capaci di funzionare a frequenze elevatissime, di centinaia di gigahertz. Il grafene, dunque, è destinato a soppiantare il silicio perché più veloce e performante? Sfortunatamente, no. Per due motivi, uno scientifico, l’altro economico. Il primo motivo è che il grafene conduce molto, troppo bene, cariche elettriche sia positive che negative. È quindi molto difficile “spegnere” un transistor a base di grafene. Mentre un transistor al silicio può essere acceso e spento, assumendo i valori “0” e “1” che sono alla base dell’elettronica digitale, un transistor al grafene al massimo può passare da “molto acceso” a ”poco acceso”. Questo è un limite che gli scienziati stanno cercando di risolvere in vari modi, anche abbastanza fantasiosi, ad esempio tagliando piccole strisce di grafene per limitare in qualche modo il trasporto di elettroni. Il secondo motivo è economico. Anche se, in futuro, si riuscirà a creare transistor al grafene efficienti ma controllabili, è difficile che il grafene soppianti il silicio. La tecnologia del silicio è vecchia di sessant’anni, estremamente ottimizzata e robusta, e l’industria microelettronica richiede impianti davvero costosi: una singola fabbrica del colosso Intel può arrivare a costare quanto il bilancio di un piccolo Stato. Difficilmente le industrie microelettroniche smantelleranno i loro impianti esistenti basati sul silicio per avventurarsi in una nuova tecnologia, per quanto vantaggiosa. Il grafene quindi non sostituirà il silicio. È più probabile, invece, che sia utilizzato in applicazioni impossibili per il silicio, ad esempio per dispositivi elettronici su plastica, flessibili e resistenti. Cellulari, computer e televisori “arrotolabili” sono il Santo Graal del settore microelettronico. Colossi come Samsung, Nokia o LG stanno investendo moltissimo per sviluppare questi prodotti e hanno già presentato al pubblico vari prototipi flessibili. I materiali attualmente usati per l’elettronica, in primis il silicio, sono di solito cristallini e fragili, quindi non adatti per questo tipo di applicazioni. Il grafene, invece, può essere piegato e allungato senza perdere le sue proprietà elettriche ed è un candidato ideale per la prossima rivoluzione dell’elettronica.

(Sinistra) Grafene depositato su wafer di Silicio e definito con litografia ottica. (Centro) Grafene depositato su vetro. (Destra) Nano-composito conduttivo, trasparente e flessibile di grafene e resina epossidica.

Grafene per sensori: sottile e sensibile

Il grafene, essendo un materiale monoatomico, è esposto all’influenza dell’ambiente esterno da entrambi i lati del foglio. Il trasporto di carica in un foglio di grafene può essere influenzato dalla presenza di molecole, radiazioni e cariche elettriche presenti sulla superficie, e questo ne fa un materiale eccellente per realizzare sensori. Di recente la Nokia ha brevettato l’uso di grafene per sensori di luce innovativi, e ha anche prodotto un sensore di acqua ultraveloce che, analizzando l’umidità presente nell’aria che espiriamo, può riconoscere persone diverse dal modo in cui “fischiettano”. Tanta tecnologia per riconoscere qualcuno che fischietta? I produttori di cellulari ci hanno dimostrato che, dagli SMS ai social network, spesso le applicazioni più strane o apparentemente banali sono quelle di maggior successo.

 

Grafene per batterie: elettrodi ultraporosi

Le attuali batterie agli ioni di litio, che alimentano la maggior parte dei nostri computer e cellulari, hanno elettrodi in carbonio, di solito in grafite. A ogni ciclo di carica gli ioni di litio penetrano tra gli strati di grafite, che è capace di immagazzinarli efficientemente. Purtroppo, però, questo processo distrugge, ciclo dopo ciclo, la grafite. Immagazzinare ioni di litio nella grafite è come infilare a forza biglie di vetro tra le pagine di un libro chiuso, ammaccandolo. Infatti, dopo un po’, come tutti sappiamo, il cellulare si scarica sempre più velocemente e bisogna cambiare la batteria. Il grafene, invece, ha un’alta area superficiale, sino a 2600 metri quadri per un singolo grammo. La sua flessibilità gli permette, a differenza della grafite, di resistere meglio all’intercalazione degli ioni in una batteria; l’alta area superficiale e l’elevata conducibilità elettrica lo rendono un materiale promettente per creare nuove batterie nanotecnologiche o anche supercapacitori per lo sviluppo di automobili ibride, cellulari di lunga durata o dispositivi flessibili.

 

Fogli di grafene come filtri molecolari

Se dei fogli di grafene sono impacchettati gli uni sugli altri in presenza di piccoli difetti o di altre molecole, possono creare delle fessure nanometriche, di spessore ben definito. La struttura bidimensionale del grafene permette di controllare molto bene lo spessore di queste fessure, permettendo di filtrare in maniera selettiva liquidi e ioni. Applicazioni ancora più fantascientifiche immaginano di usare un singolo foglio di grafene, capace di resistere comunque a pressioni elevate, con dei buchi ben definiti per desalinizzare l’acqua del mare oppure sequenziare frammenti di DNA in modo estremamente veloce.

 

Dai microcompositi con fibre di carbonio ai nanocompositi con fogli di grafene

Le buone proprietà meccaniche ed elettriche del grafene permettono di utilizzarlo come un nanoadditivo, da aggiungere a plastiche o materiali compositi per renderli più resistenti o elettricamente conduttivi. I materiali compositi utilizzano già additivi come fibre di carbonio o di vetro per questi scopi. L’utilizzo di un materiale nanotecnologico come il grafene, però, permette di ottenere questi risultati con quantità minime di materiale, sfruttando la sua alta area superficiale per massimizzare l’interazione con il polimero circostante. Anche se ci sono ancora problemi di costo e di produzione per sfruttare al massimo le proprietà del grafene nei compositi, esistono già in commercio delle racchette da tennis a base di grafene, che sono utilizzate da campioni come Novak Djokovic o Maria Sharapova.

 

Cosa ci riserva il futuro

I pregi del grafene sono così numerosi da essere quasi incredibili. Tutte queste eccezionali proprietà sono ben note e sono state misurate da diversi laboratori di ricerca in tutto il mondo. Purtroppo, però, si tratta di proprietà osservate su scala nanoscopica, a livello di un singolo foglietto di grafene, spesso privo di difetti o contaminanti di ogni tipo. Se si passa dal singolo foglietto, prodotto con il nastro adesivo, a materiali macroscopici a base di grafene, queste proprietà si degradano rapidamente. Il trasporto di elettroni è disturbato da difetti presenti all’interfaccia tra fogli contigui, così come il trasporto di calore. L’interfaccia tra grafene e polimeri è spesso un punto debole che diminuisce le proprietà meccaniche dei compositi, ed è difficile inserire in maniera uniforme ed economica questo materiale in prodotti commerciali. La sfida di tutti i ricercatori del settore è quindi quella di riuscire a sfruttare in modi utili e affidabili le proprietà del grafene, sviluppando una nuova tecnologia che si basi su questi nanomateriali.

Con questo obiettivo, la Commissione Europea ha lanciato nel 2013 il Graphene Flagship Project, una delle più ambiziose iniziative di ricerca europea mai tentate, con una durata programmata di dieci anni e un budget previsto di cento milioni di euro all’anno. L’Italia è in prima linea in questo settore di ricerca, con la partecipazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dell’Istituto Italiano di Tecnologia, di tante università e centri di ricerca e di grandi aziende, come ad esempio la STMicroelectronics di Catania. Nonostante tutti questi sforzi, è difficile predire se e come il grafene e in generale le nanotecnologie cambieranno le nostre vite. Pensare a un progresso incrementale, in cui la scienza serve solo a migliorare prodotti già esistenti, è forse riduttivo. Come disse il premio Nobel Herbert Kroemer: «L’applicazione principale di ogni nuova tecnologia è sempre un’applicazione creata dalla nuova tecnologia». Se, nel Cinquecento, aveste scommesso sul futuro della grafite, su cosa avreste puntato: un’applicazione militare, altamente tecnologica, per fare palle di cannone, o un’applicazione di basso livello e basso costo per scrivere su carta, per cui esisteva già una tecnologia ben sviluppata come la penna d’oca e il calamaio? Probabilmente, avreste sbagliato. Nel Cinquecento come nel presente, è sempre difficile predire il futuro.

Torna a Scopri il grafene